Alan Turing. La scienza come libertà

Alan Turing fu un uomo profondamente libero. La morte in odore di suicidio con la mela al cianuro ed il connubio tra genio ed omosessualità potrebbero suggerire al borghese emancipato e contemporaneo l’ennesima celebrazione “in memoria ed in difesa di”. Ma con Alan è terribilmente_5_photo1 Turing difficile darsi alla pratica del martirologio. Sarebbe il primo ad usare l’ironia per smontare tutto. Smontare e rimontare erano due cose che aveva sempre amato fare sin da bambino. Gli studiosi della cognizione della matematica sostengono che un buon training senso motorio favorisce lo sviluppo delle capacità d’astrazione. Non saprei. Mi vengono un bel po’ di contro-esempi in mente. Ma per Alan è sicuramente vero. Persino nel suo stile matematico maturo l’abilità teorica è sempre ben focalizzata sulla capacità di rendere chiara una domanda ed arrivare possibilmente a costruire una formulazione “operativa”. È questa l’essenza matematica della famosa “macchina di Turing”: una connessione audacissima tra l’iperuranio delle idee formali e l’intuizione sensibile della macchina che genera il concetto, oggi così familiare, di “algoritmo.

 

The Bomb, il diretto nemico del macchina nazista Enigma, Colossus, la sua versione raffinata, che oggi sappiamo essere stato il primo calcolatore elettronico programmabile, ed infine ai Laboratori Nazionali di Fisica l’ACE : Alan conosceva ogni particolare di queste macchine gigantesche come da piccolo il meccano. E naturalmente era questo il retroterra del suo personalissimo materialismo, una reazione istintiva all’idealismo inglese di Oxford e Cambridge, ma soprattutto una dichiarazione di fede pragmatica, assolutamente non ideologica, nella capacità chiarificatrice della scienza. Le sue scelte le ha fatte prestissimo: l’evoluzione di Darwin dà un senso alla straordinaria varietà delle forme viventi, ed alla molteplicità dei pensieri possibili, inclusi quelli sessuali. La fisica e la chimica offrono la possibilità di spiegazioni riproducibili dei fenomeni della materia e dell’energia. La matematica è la sintassi astratta che ne permette il controllo quantitativo.


Il punto è che Alan è insieme matematico ed homo faber. Non gli interessano le speculazioni fini a sé stesse, lo affascinano i problemi. Non gli interessa neppure la disputa tra matematica pura ed applicata. La Macchina di Turing è esemplare in questo senso, sospesa al crocevia ideale tra concreto ed astratto. E lo è il suo test, che propone una definizione “operativa” di intelligenza come comportamento: una macchina si può definire intelligente se il suo “punteggio” (sono qui evocati i giochi di von Neuman e Morgenstern) è pari a quello di un essere umano. Sappiamo poi da Blade Runner e dai traduttori automatici che macchine così esistono solo nella SF!

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Nel suo famoso articolo del 1950 su “Mind”, Alan M. Turing si chiedeva: Le macchine sono in grado di pensare? In Turing il gusto per la speculazione era pari a quello per la provocazione intellettuale, dunque era ben consapevole che la sua domanda era destinata a suscitare tanto un dibattito quanto uno “scandalo”, soprattutto se proposta in una tribuna come “Mind”, la più autorevole rivista di filosofia inglese, allora “abitata” da tutt’altri tipi di pensiero. Nonostante l’articolo su Mind, Turing non fu mai un convinto assertore dell’intelligenza delle macchine. E non certo nel senso di un’impossibilità teorica o peggio di una violazione dell’umana dignità, ma perché si convinse che la materia pensante apparteneva ad un ordine di complessità assai diverso da quello delle macchine digitali. Questioni insomma di architettura in grado di “sostenere” la cognizione. Del resto aveva già scritto nel report per ACE del 1948, “Intelligence Machinery”: “Macchine costruite in modo molto casuale, nel senso ora detto [in modo relativamente non sistematico, a partire da certi componenti standard], chiamate “macchine non organizzate”. Il termine non vuole essere accurato: è possibile che la stessa macchina sia considerata da un osservatore come organizzata e da un altro come non organizzata”. Qui. Turing va al di là delle reti neurali (potrebbero essere queste infatti le baby machines che si auto-organizzano ed imparano dall’esperienza) , ma fedele al suo test, e portandone le conseguenze all’estremo, ammette che il comportamento intelligente implica non soltanto regole, ma qualcosa di più ampio che viene prima delle regole, gli obiettivi. E questi sono strettamente connessi alla struttura ed alla storia dell’agente cognitivo. Il gioco di un sistema può apparire perciò assolutamente incomprensibile per un altro! Il pensiero è un fatto situato, inestricabilmente connesso al nostro essere biologico nel mondo; irreversibile, segna una direzione nel tempo, e soltanto in minima parte può essere “cristallizzato” in una macchina; una procedura algoritmica sta al pensiero reale non più di quanto un pezzo di DNA, tolto dal suo ambiente, lontano dall’attività della rete di proteine, possa produrre vita. Pensiero e vita sono aspetti della complessità dei sistemi. Ed un altro aspetto di complessità superiore a quello della macchine di Turing potrebbe rivelarsi anche nella fisica.

 

La fisica che fa da sfondo alla macchina di Turing – leggere un simbolo per volta, spostarlo, cancellarlo, scriverlo – è la fisica di Newton. L’architettura delle nostre macchine è ancora troppo classica per la  fisica quantistica. Come ci ha insegnato Niels Bohr, siamo ancora concettualmente troppo ingenui per poter comprendere la bellezza della logica quantistica del mondo, e troppo spesso tendiamo a ridurla concettualmente entro i confini angusti della nostra rappresentazione classica. Ed in effetti è possibile che, al di là delle affascinanti tecnologie di gestione di gruppi compatti di cold atoms che sta producendo, la macchina di Turing applicata ai quanti – qbit , 0 ed 1 in sovrapposizione al posto di bit-, potrebbe rivelarsi una gabbia per le potenzialità quantistiche. Forse il linguaggio migliore per l’informazione quantistica si rivelerà più simile a quello usato da

Turingcard2Einstein nella costruzione della relatività generale: spaziotempo che si deforma in presenza di masse, e dunque nel caso quantistico geometrie probabilistiche che si modificano con gli effetti quantistici. Non netti “si” o “no” ma indicazioni di probabilità in computer quantistici analogici.

 Sappiamo che Alan Turing era in parte consapevole delle difficoltà con gli ordini di complessità per quello che riguarda la cognizione. E non sappiamo come avrebbe affrontato i nuovi problemi dell’informazione quantistica. Sicuramente nelle ultime cartoline (cards from unseen world) all’amico Robin Gandy c’è traccia di un nuovo e forte interesse per la fisica quantistica. In una di queste Penrose ravvisa l’abbozzo di un programma di   riconciliazione tra relatività e fisica quantistica attraverso una sorta di “granuli” spaziotemporali   simili a quelli indagati dalle teorie di gravità quantistica oggi, come i twistors dello stesso Roger Penrose.   Non sapremo mai che strade avrebbe preso Alan Turing se quella morte così strana ed inaspettata non lo avesse fermato.

Dalla mela di Alan a quella di Steve Jobs. Il centenario di Alan arriva giusto un anno dopo dalla morte del primo e forse unico artista (zen!) dell’industria digitale. La macchina di Turing non è più solo nelle nostre mani, ma tutt’intorno a noi. Cloud Computing, Brain-Web, ormai la macchina di Turing riesce a veicolare lavoro, sogni e desideri. Sembra non aver più nulla di “meccanico” ma è sempre più simile alla sostanza di cui sono fatti i sogni.

Se come scrive Allen Ginsberg “solo lo scienziato è vero poeta perché ci regala un mondo nuovo”, basta guardarsi attorno per capire che Alan fu artista eccelso, pioniere di quella che oggi è la nostra autentica casa comune, quell’enorme infosfera che abitiamo tutti e che offre nuove possibilità di pensiero, di comunicazione ma anche nuovi problemi etici e filosofici.

 

 

Questo post è basato sulla mia postfazione al libro di Antonio Rollo e Grazia Tagliente “Alan Turing” , Oistros Edizioni, “Alan, i Quanti e la Mela”. Prenderà invece la forma di un talk a PopSophia, Festival del Contemporaneo all’interno della mostra “il Vangelo secondo Steve Jobs”, Spazio , Spazio Multimediale San Francesco, Civitanova Marche, 29 luglio, ore 23.

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