Ettore Majorana (1906-1938) ha attraversato la fisica teorica come una meteora. I suoi lavori sono soltanto nove, tutti scritti nel breve periodo che va dal 1928 al 1933, più lo scritto postumo curato da G. Gentile Jr. su Il valore delle leggi statistiche in fisica e nelle scienze sociali, che contiene in nuce molte delle idee oggi discusse sui rapporti tra scienze della natura e modelli sociali. Pochi e bellissimi. Nove come le sinfonie di Beethoven. Tutti gli articoli di Majorana, nessuno escluso, si sono rivelati una vera miniera per ogni generazione di fisici teorici. Si tratta di lavori audaci che si ripropongono continuamente all'attenzione come paradigma di uno stile che enuclea con singolare senso critico l'essenza dei dati sperimentali per la libertà della costruzione teorica in una formulazione matematica elegante che va davvero al fondo delle questioni e pone sempre le basi per nuove prospettive. Come scrive efficacemente Roger Penrose, più comprendiamo le leggi fisiche più entriamo nel mondo astratto dei concetti matematici. Ogni generazione di teorici ha tratto nuovi temi dai lavori di Majorana, le idee e le strutture da lui ideate hanno trovato eleganti e feconde applicazioni in campi diversi. E' il caso, esemplare, della Sfera di Riemann-Majorana-Bloch, che da hidden structure in “Atomi Orientati in Campo Magnetico Variabile” si è rivelata esplicitamente preziosa nel quantum computing e nello studio delle correlazioni non-locali, o ancora dell'Oscillatore di Majorana, contenuto implicitamente nella sua teoria del neutrino. E' possibile dunque individuare uno stile di Majorana in fisica teorica, una singolare sintesi tra fantasia matematica ed intuito fisico, e dove l'uso sapiente delle considerazioni di simmetria fa apparire inevitabile ed univoca la soluzione del problema, inteso sempre come ricerca del caso più generale.
Secondo Joao Magueijo , il primo dichiarato non-biografo di Majorana, che si rifà ai maestri del giallo decostruito come Sciascia e Tabucchi, a Majorana sarebbero dovuti andare ben tre Nobel.. Ma si può andare oltre e passare dalla fisica ormai “storicizzata” al futuro stesso della ricerca. E’ di questi giorni l’annuncio al CERN dell’osservazione del bosone di Higgs, elemento chiave del cosiddetto “modello standard” per l’unificazione della forze e delle particelle. Il meccanismo di Higgs è responsabile della massa di dodici oggetti fondamentali di tipo fermionico, quark e leptoni, le cui interazioni sono mediate da 4 bosoni. Il tutto richiede, per funzionare, l’introduzione di circa 30 parametri liberi che devono essere ricavati dalle osservazioni. Un bel pasticcio, insomma. Nella sua “teoria relativistica di particelle con momento intrinseco arbitrario” (1932), Majorana lancia un’idea sorprendente: tutte le particelle che costruiscono la materia, e le due statistiche che ne regolano il comportamento collettivo, sono manifestazioni dei livelli energetici di un unico oggetto fondamentale! Se questo può suonare familiare è perché Majorana era già arrivato con strumenti più semplici ed ipotesi assai più “economiche”, all’idea centrale della teoria delle stringhe. Ed è quasi paradossale che questa intuizione geniale che oggi celebriamo come una novità assoluta- Ed Witten definisce la teoria delle stringhe “un pezzo di fisica del XXI secolo caduta nel XX”- restò il capolavoro inascoltato ed incompiuto di Ettore. E devo ammettere che sono ormai molte le notti passate a discutere con colleghi ed amici sulla possibilità di recuperare e modificare la funzione d’onda ad infinite componenti di Ettore. A cosa si riferiva quando diceva “la fisica è su una strada sbagliata”?
Ma in tempi di scienza gridata (a volte troppo frettolosamente) ad Ettore va riconosciuto un altro merito, quello del non sapersi accontentare. Rasetti, uno dei “ragazzi di via Panisperna” , ricorda le discussioni tra Fermi e Majorana,con il primo che lo incitava a pubblicare ed Ettore imperturbabile che rispondeva “ a che serve? Sono idee incomplete”. Ed i calcoli abbozzati con grafia minuta e nitida sull’ennesimo pacchetto di “macedonia” finivano inesorabilmente nel cestino. Questo non sgomitare fa di Ettore Majorana un personaggio singolare e quasi incomprensibile in un mondo in cui la visibilità è puro spazio mediatico. E capiamo improvvisamente che non è la “scomparsa” ad attirarci, il “giallo”, ma quella discrezione geniale e tormentata che lo rende così simile al suo neutrino, e che Sciascia identifica assieme all’ironia sulfurea come un tratto essenziale della sicilianità. C’è da chiedersi se la linea della palma, nella sua inevitabile erosione, non abbia perso per strada qualcuna delle sue caratteristiche.
L’idea della mostra “20 x Majorana” nasce, come quasi ogni cosa bella che conta, da una lunga serie di chiacchierate a vista e senza meta con il gallerista Pio Monti, introdotto alle fascinazioni della fisica dal suo amico ed artista Gino de Dominicis e da sempre sedotto dalle figura dello scienziato catanese. Durante queste chiacchierate ci rendemmo conto che ormai il mito di Majorana aveva ampiamente superato i confini pur amplissimi della fisica e persino lo stesso mito della scomparsa, ed aveva lentamente preso le forme di una figura universale dell’immaginario collettivo, amato, cercato eppure reso lontano dalla forza dei potenziali del pudore, della sensibilità e dell’irriducibilità tragica di ogni destino individuale. Il Daimon di Goethe, così celebrato da chi ne è privo, così simile ad una condanna per chi lo possiede, e ne è posseduto. Ma Majorana non è così docile come il barattolo della zuppa di pomodori Campbell di Andy Warhol. Se proprio si deve tentare un paragone è piuttosto alla bellezza di Marylin Monroe che somiglia il genio ombroso di Ettore: raffigurabile all’infinito, narrabile in ogni dettaglio, eppure sfuggente, imprendibile alla fine, altrove.In questo senso gli artisti chiamati – direi per naturale risonanza -, non hanno affrontato de visu Majorana, ma hanno costruito attorno alla sua ombra/presenza/assenza la proiezione possibile del suo mondo.Getulio Alviani, con i suoi ordini dinamici nella trama dello spazio e del tempo;il lontano pianeta di cera di Domenico Bianchi , gli alieni di Tommaso Lisanti, il meteorite vagante nella sua orbita di Felice Levini; Sandro Chia e Gian Marco Montesano con la loro capacità di cogliere l’esatto momento del passaggio dalla storia al mito. E naturalmente Gino De Dominicis, maestro della rivolta creativa contro le leggi del mondo, giocoliere e illusionista del paradosso che sospende la descrizione del mondo.Claud Hesse, Gabriele Simei e Alberto Di Fabio, tre vie diverse per cogliere lo scarto tra il mondo e la sua dicibilità analitica; Adrian Hermanides, il cui telescopio vede più lontano di ogni ottica, come il matemascopio dei fisici, in una singolare elusione del dato visibile”. Il campo di frecce di Teresa Iaria definisce un paesaggio di flussi ed attrattori dove emerge l‘impressione di un vulcano che aspetta da sempre il suo Empedocle. Dino Pedriali coglie la dissolvenza della figura con lo scatto “oggettivo” della macchina fotografica, e le grafiche ombre leggere di Mitra sembrano eludere gentilmente lo sguardo. Sol Lewitt, maestro del minimalismo, con la sua piramide-monolite coglie l’essenza archetipale della razionalità matematica, mentre nell’opera del compianto Vettor Pisani la geometria si associa ad alchimie misteriche di sapore mediterraneo. Maurizio Mochetti esplora i cieli con l’energia positiva e propulsiva, quasi ingenuamente utopica, del suo piccolo aeroplanino. Emilio Prini abbandona per un attimo le sottigliezze sui formati e le rappresentazioni, e mostra il curioso effetto di una stella che compare nella foto di un fumatore (Majorana era un accanito fumatore delle potenti “macedonia”!), mentre Marco Poloni realizza un’indagine filmata che è al tempo stesso sulla solitudine dell’ultimo Majorana e sull’ubiquità quantistica della sua scomparsa, delocalizzato ovunque nell’immaginario.Infine la robusta ispirazione di Salvo ci riporta in Sicilia, dove tutto, ma davvero tutto, è cominciato.