Do Androids dream of Electric Gods?

Ad un Convegno al Centro "Ettore Majorana" di  Erice, il teologo Gianfranco Basti, docente di antropologia filosofica,ha suggerito che la capacità di concepire Dio potrebbe non essere appannaggio esclusivo dell'uomo, ma in linea di principio una caratteristica generale dell'intelligenza, non esclusa dunque quella (ipotetica e futura) delle macchine. Questa posizione è in sintonia con le affermazioni  del filosofo J. R. Searle espresse nel suo Mente, Linguaggio, Società:la Filosofia nel Mondo Reale.Quando dico che il cervello è un organo biologico e la coscienza è un processo biologico, non affermo né sottintendo, è ovvio, che sarebbe impossibile produrre un cervello artificiale con materiali non biologici, capace anch'esso di causare e sostenere una coscienza. Searle è stato uno dei più fieri avversari delle ambizioni dell'IA forte di spiegare e simulare la mente come puro  processo algoritmico, dunque queste posizioni più"moderate" vanno intese come un riconoscimento indiretto dell’importanza dell’ispirazione biologica ( e della fisica underwritten del sistema) nella progettazione di una mente “artificiale”.

Le affermazioni di Basti vanno invece oltre, toccando un tema che si ricollega al Principio Antropico e ci permette di ripensare il Test di Turing. Com'è noto, il Principio Antropico  , suggerito , tra gli altri, dal fisico teorico Freeman Dyson e studiato a fondo da John D. Barrow e Frank Tipler, considera con attenzione le singolari "coincidenze" che legano la struttura del mondo fisico all'esistenza della vita e dell'intelligenza nel cosmo. Infatti, molti dei processi fisici da cui dipende in modo critico la possibilità di una biologia, così come noi la conosciamo,dipendono in maniera critica dalla "forma" delle leggi fisiche e dal valore di certi parametri, come la carica del protone e la costante di gravitazione. Si potrebbe dire quasi che l'universo è stato "regolato" su una ristretta frequenza adatta ad ospitare la vita.  Il valore autentico del principio antropico è quello di considerare le necessarie interconnessioni tra fisica e biologia utili al fine di fondare  una teoria della morfogenesi, e sicuramente ci suggerisce la sensazione di non essere stranieri in questo universo ( F. Dyson). E questo ha risonanze forti e diverse in ognuno , in relazione alla sensibilità religiosa, proprio come un brano musicale muove in ognuno di noi cose diverse, fino ad arrivare al caso dell’a-musico rilevato da Bach a proposito della Principessa di Kothen.

La stessa cosa può dirsi per le osservazioni di Basti. Considerare la capacità della visione mistica o del pensiero "teologico" come una caratteristica "universale" dell'intelligenza, forse non ci dice molto su Dio ma sicuramente ci suggerisce qualcosa di suggestivo sui nostri processi cognitivi.Il matematico P. Odifreddi parla ironicamente di "teopitechi", e Bart Kosko, profeta della logica "fuzzy" e della next-age, sostiene che potrebbe trattarsi di una singolare "fallacia cognitiva", legata alle tipiche modalità di funzionamento delle nostre reti neurali. E’ questa anche la tesi dell’ultimo Dawkins

Nel corso di millenni di adattamento evolutivo le nostre menti si sono raffinate nel riconoscere e classificare schemi in modo da poter gestire in modo efficace l'enorme numero di informazioni variabili dalle quali siamo incessantemente bombardati: animali, piante, odori, musiche, volti. Le idee platoniche sono di fatto  dentro le nostre teste  il risultato dell'accumulazione di centinaia di configurazioni simili che si intrecciano e si sovrappongono tra loro in un processo dinamico incessante. Dall'esperienza di tanti cavalli nasce l'idea di "cavallo", dall'incontro con molte cose rosse di varie gradazioni cromatiche nasce l'idea di "rosso", dalla più raffinata esperienza delle quantità nascono i numeri. Molto tempo dovette passare perché l'uomo si rendesse conto di ciò che avevano in comune due fagiani e due paia di scarpe, scriveva Bertrand Russell nella sua Introduzione alla Filosofia della Matematica (1916). Poi, una volta acquisiti questi schemi, impariamo a giocare con essi. Non è difficile- anzi, per i bambini è la cosa più naturale del mondo!- pensare due cavalli rossi. Lasciando ad altre sedi il dibattito propriamente religioso, e limitandoci qui a prendere atto che il nostro modo di pensare Dio è percorso da influenze sociali e culturali, non ultime le suggestioni ed i capricci delle mode scientifiche, dobbiamo però prendere atto che la capacità "metafisica" del nostro pensiero sembra essere una sua caratteristica essenziale e profonda, indispensabile alla nostra stessa vita. Dick-CRumb

Siamo le "metafore viventi" di P.Ricoeur , in grado di spingere "oltre"ogni discorso, di ridefinirne i confini semantici, capaci di "altro – dire" il mondo, fare congetture sempre più astratte , potenti e vaghe, complesse, ridondanti, vitali e non necessariamente “rigorose”. La “vita puzza” scriveva il compianto Roberto Bolano, ed il pensiero non fa eccezione. Alan Turing propose il suo celebre test  per eliminare in blocco ogni possibile impasse nella definizione teorica di "intelligenza": una macchina può dirsi intelligente quando si comporta come tale nell'interazione con un interlocutore umano, senza altre condizioni. Potremmo essere un pò più precisi e dire che un sistema artificiale è intelligente seil suo punteggio,calcolato secondo la teoria dei giochi di von Neumann-Nash  è paragonabile a quello di un essere umano, per ogni "gioco" sintattico e semantico possibile.Il test di Turing ha ricevuto un certo numero di  critiche come criterio "operativo" per la definizione di "intelligenza". Ad esempio, c'è chi ha trovato il test eccessivamente restrittivo e poco attento ai "meccanismi interni" del pensiero.Ma del resto, è banalmente vero che l'unico modo di valutare l'intelligenza di chi ci sta di fronte è analizzare la complessità delle relazioni tra le sue proposizioni-azioni e lo stato del mondo.
Se ammettiamo il valore del test di Turing e riconosciamo come una caratteristica essenziale della "mente" quella di esprimere un livello"metafisico" di attività, possiamo concludere che un sistema artificiale può essere definito "intelligente"( o in possesso di una "mente" ) se risponde in modo "umano" all'idea di Dio.

Ma a quel punto avrà tutte le nostre caratteristiche, convinzioni e fallacie comprese, e possiamo dunque
aspettarci che ogni sistema risponda in modo diverso in relazione alla sua "storia cognitiva". Indipendentemente dalla valenza “teologica” pura della questione, il fatto interessante qui è che se siamo macchine siamo macchine che sbagliano: soggettive, imprevedibili, senza alcuna corrispondenza fissa tra sintassi e semantica!  I nostri “ingranaggi” biologici e cognitivi seguono una logica diversa da quella algoritmica della tesi di Church- Turing. In questa direzione va anche un recente lavoro  di Stuart Kauffman  (vedi anche il suo  Reinventare il Sacro ,  e sui limiti della tesi di Church-Turing   vedi anche il mio Logical Openness in Cognitive Models ).

Avremo dunque la macchina "religiosa" e quella "atea",quella che rivendica il rispetto del pudore della sua sensibilità religiosa, ed infine il "robot cartesiano" del racconto di I.Asimov, "razionalmente" convinto che fosse impossibile far discendere la sua "perfezione" da creatori tanto deboli ed incapaci come gli esseri umani.

  • ignazio licata |

    Cara Rita, Ho già risposto a te e all’amico Ruggero, Vi ringrazio per i commenti, ma discutere i fautori di questi deliri “artificiali” l’ho già fatto nel post sulla Singolarità, qui più che altro la mia osservazione era rivolta a certo imperialismo scientista che ha creato, per motivi extra-scientifici, un muro contro muro tra scienza e riflessione religiosa.

  • Rita Benigno |

    Probabilmente non mi so spiegare io, Ignazio. Conosco perfettamente la tua posizione, per questo ho parlato di provocazione divertente. Nel senso che mi è sembrato chiaro che tu prendessi anche un po’ in giro i fautori della tesi di cui hai discusso. Il mio commento voleva soltanto essere un rafforzamento della tua stessa critica, ma evidentemente non è chiaro. Paradossi della comunicazione!

  • ignazio licata |

    Cara Rita,
    Il tuo commento è interessante, ma piuttosto fuori centro rispetto alla tesi del pezzo.Che non è affatto una “provocazione”. Da precedenti scambi ( e altri post su questo stesso blog!) dovrebbe ormai essere chiaro che io non parlo mai di “macchine prossime venture” ( è un esercizio che poco mi interessa), ma tutt’al più di modelli generali del tipo di fisica e biologia che potrebbero “supportare” un’intelligenza.E l’unica intelligenza che mi interessa è quella umana ( ed animale).La tesi centrale è proprio quella che tu argomenti con estrema dovizia di particolari e che sfocia in una tesi direi lapalissiana ( perchè sotto gli occhi di tutti) : che questa capacità di “altro-dire” il mondo, di far saltare continuamente ogni connessione biunivoca tra sintassi e semantica, e dunque anche l’idea di “Dio” (come le interpretazioni della MQ!), sono una caratteristica saliente della cognizione umana e NON rientrano nella Turing Computabilità. Forse alcuni lettori sono stati sviati dal titolo, che è semplicemente un omaggio all’ultimo P: K: Dick “teologico”,quello di Valis, Divine Invasioni e La Trasmigrazione di Timothy Archer per intenderci, in bilico tra misticismo e follia. E il riferimento al robot cartesiano di Asimov, quello si che va visto come un’ironia verso certo scientismo imperialista ( o suoi rappresentanti ) che confonde il pensiero scientifico con la crociata verso ogni dimensione speculativa e religiosa. E sono liberissimi di farlo, purchè non provino a giustificarla come conseguenza necessaria della scienza, perchè alla fin dei conti, la buona scienza non è solo applicazione di algoritmi, ma nasce alla stessa fonte da cui vengono la poesia, larte, la musica, la filosofia. E a te te, che sei di formazione filosofica, ricordo le belle pagine di Jaspers.
    Trovo una singolare conseguenza ( ma anche un sintomo interessante e dunque il mio post un gentile suggerimento di cura), che un breve scritto sulla creatività umana ( non importa se “fallace” o meno, rispondo a Dawkins!), sia stato interpretato come un’apologia delle macchine!!!
    Piuttosto ringrazio Graziano Terenzi ed invito i partecipanti al dibattito, che ringrazio, a leggere oltre che i testi citati nel post, anche a letteratura sulle “macchine che sbagliano”. E naturalmente, qualche mese più su, il post sulla singolarità.

  • Ignazio Licata |

    

  • Rita Benigno |

    La tesi è suggestiva, ma direi anche impressionante. Potrei dire che ha in sé il fascino delle visioni mostruose, che atterriscono ed attraggono nello stesso tempo. Eppure, non so il perché, è una teoria che mi fa sorridere. Sono “in-credula”. Del resto, conoscendo un po’ il tuo pensiero, assumo questo post come una provocazione davvero divertente: una macchina in grado di immaginare due cavalli rossi e – perché no! – magari con le ali mi vien da dire, non sarebbe più tale e comunque dovrebbe avere la possibilità di attraversare i vari stadi della crescita: essere bambina, adolescente, adulta, infine anziana. Soprattutto bambina. Perché gli schemi possono essere anche trasmessi con un software, ma imparare a giocare è molto più difficile. Molti esseri umani non vi sono mai riusciti.
    Creatività, senso dell’umorismo, la stessa capacità del “nostro altro-dire al mondo” che tu giustamente sottolinei, sono il prodotto di un’ampiezza semantica che non è scontata e non è di tutti. Non so se possa essere di una macchina: potrebbe forse pensare e dire “cane”, assumendo l’insieme degli attributi di cane collegati per astrazione al concetto dell’animale comunemente chiamato “cane”; ma onestamente non so se sarebbe in grado di comprendere il significato di “cane” rivolto in senso spregiativo nei confronti di una persona. D’altra parte, la questione del significato diviene ancora più ardua – direi indecifrabile da parte di una macchina – se ci si riferisce ad altri linguaggi, per esempio quello del corpo.
    Dico questo perché il linguaggio è una caratteristica fondamentale dell’intelligenza umana, senza la quale l’evoluzione dell’uomo sarebbe stata altra, diversa. La stessa capacità di parola, pur se innata, non è automaticamente sviluppabile al di fuori del contesto sociale; ma ancora più complesso è il discorso sul linguaggio. Dovremmo dire sui linguaggi, perché sono tanti e differenti, quindi sulle problematiche della comunicazione.
    E’ qui che si inserisce la questione del pensiero di Dio, quindi della religione. La questione del perché sia nato il concetto di Dio è pregnante ed ha pervaso tutta la storia dell’antropologia e non solo. Certo al centro di questo pensiero e della stessa vita religiosa non si può che porre l’individuo, perché culti e credenze sono riconoscibili ed analizzabili anzitutto a partire da esso, dai suoi comportamenti e dalle sue azioni. Tuttavia l’individuo va considerato come membro di un gruppo portatore di una cultura ed una tradizione, trasmessi per l’appunto dalle istituzioni sociali in cui egli nasce e vive. La stessa religione rappresenta un insieme di istituzioni e di simboli: miti, riti, cosmologie. Ciò non sembra ipotizzabile per una macchina, per quanto intelligente possa essere. Inoltre, la religione assume per l’uomo una funzione di garanzia e di salvezza, oltre che di superamento della paura della morte. Ma una macchina può avere paura della morte? Più in generale, una macchina può avere paura? Quest’ultima considerazione apre la strada ad un’altra questione: emozione, passione, sentimento. Stati d’animo che fanno parte dell’essenza umana E poi c’è il dolore. Tralasciando quello interiore, il dolore fisico richiama il rapporto della mente con il corpo biologico. Ma le macchine non hanno un corpo biologico, quindi non possono avvertire dolore. Non hanno pulsioni fisiche. Qui entra in campo anche la questione della sessualità, croce e delizia dell’uomo, campo di battaglia di rapporti di potere – di bio-potere – di normalizzazione e di controllo, che hanno molto a che fare con la religione e con il pensiero di Dio. E laddove la macchina comprendesse questa mancanza, avremmo comunque creato degli esseri infelici.
    In ogni caso, la bio-politica applicata al “corpo-macchina” sarebbe improponibile.
    Una considerazione ulteriore riguarda la tematica del creazionismo, che investe il mistero dell’universo e dell’esistenza dell’uomo. La domanda su chi abbia creato la vita è l’interrogativo principe che l’uomo da sempre si è posto ed una delle risposte possibili è proprio il pensiero di Dio. Ma la macchina non avrebbe bisogno di porsi questa domanda, conoscendo a priori di essere stata creata dall’uomo. Al limite, potrebbe scambiare l’uomo stesso per Dio, ma mancherebbe una componente essenziale del pensiero religioso: l’invisibilità.
    Per tornare al discorso iniziale, allora, mi sento di dire che – anche ammettendo in ipotesi la possibilità futura di una intelligenza artificiale del tutto simile a quella umana (cosa alla quale personalmente non credo) – non è assolutamente scontato che essa possa concepire il pensiero di Dio, dal momento che alla nascita di tale pensiero concorrono delle variabili esogene particolari e specifiche.
    Ma vi è di più. L’idea che l’intelligenza umana possa essere replicata in una macchina viene da lontano: dall’idea stessa di una macchina umana complessa e da quella della vita meccanica. Mi viene in mente, per esempio, “L’homme machine” di Julien de La Mettrie; ma ancor prima, la stessa idea era presente pur se in maniera latente negli scritti di Cartesio. E se i nostri cervelli sono macchine, la conclusione di alcuni è che anche le nostre menti potrebbero esserlo.
    In tempi più recenti, la cosiddetta scienza memetica e l’idea stessa dei memi replicanti rafforzano le tesi dei fautori dell’IA forte: se – come dice Sennet – l’uomo è “una particolare forma di scimmia infestata con i memi”, anche un cervello artificiale potrebbe essere una particolare forma di macchina infestata con gli stessi memi.
    Possibile però che nessuno dei fautori dei replicanti artificiali intelligenti si sia accorto che un siffatto scenario renderebbe non più necessaria l’idea di Dio?

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