Con quali ambienti psicologici è entrato più in contatto?
Come tutti i fisici di formazione il mio contatto "ufficiale" è stato il lavoro sulle reti neurali,culminato in un modello di evolutionary neural gas come scenario protoneurale alla Edelmann. Ma in realtà sono sempre stato interessato ad una Physis in grado di comprendere anche la mente, sin dalle letture giovanili sugli stati alterati di coscienza (era una moda allora),
alle più mature discussioni con D. Bohm. Come è noto, c'è poi tutta una scuola che collega il collasso della funzione d'onda al ruolo dell'osservatore (e fin qui posso essere d'accordo perchè le misure in meccanica quantistica sono contestuali, ossia dipendono da cosa vogliamo osservare) e persino alla sua coscienza ( e da queste posizioni sono molto lontano, anche se è impossibile non restare affascinati dai lavori di Wigner fino a Michio Kaku, passando per pionieri come E. H. Walker). Mi è capitato dunque di interessarmi a più livelli di psicologia, e ricordo con piacere la collaborazione, l'amicizia e le discussioni con Aldo Carotenuto, con il quale abbiamo fatto per qualche anno una rivista.
Perchè secondo lei ha senso per la psicologia clinica occuparsi di fisica quantistica e di quantum brain?
All'inizio i modelli di quantum brain erano poco più che una curiosità per descrivere in un modo più complesso di quanto non potessero fare le reti neurali alcuni comportamenti collettivi neuronali. Una rete neurale classica si satura rapidamente, i nodi sono in qualche modo "fissi", mentre nel quantum brain i nodi si creano e si annichilano secondo un formalismo simile
a quello della teoria quantistica dei campi. In questo senso questa teoria sembra avere un range enorme di applicazioni, ben oltre il range della fisica delle particelle per cui è nata.Contestualità ed un forte linguagggio dinamico sembrano necessari in ogni campo dove abbiamo a che fare con un
minimo di complessità. Ed in effetti ci sono applicazioni di questa teoria non soltanto al cervello, ma ai mercati finanziari, ai sistemi sociali e così via. Più recentemente il quantum brain ha avuto degli sviluppi enormi, grazie al lavoro congiunto di Giuseppe Vitiello e Walter Freeman, e si sono aperte anche nuove possibilità per test sperimentali relativi alla descrizione "fine" di aree funzionali del cervello. La domanda dunque assume un altro risvolto: Chi è interessato ad acquistare questo "prodotto"? In ogni campo c'è la tradizione , ed il mestiere, e sono cose che non vanno
sottovalutate. Ogni esperto di psicologia clinica tende naturalmente a pensare che possiede già gli strumenti ed i linguaggi necessari per affrontare i suoi problemi, e dunque non vede il motivo per studiare questi ormalismi. Difficile dargli torto. Ma bisogna anche pensare che fino a
poche decine di anni fa la biofisica sembrava un incontro "puntuale" di due discipline su alcune questioni particolari, mentre oggi è un campo autonomo e propulsivo. Non è escluso dunque che quello che oggi ci appare impossibile, domani diventi una nuova disciplina, passando per l'attuale
fase intermedia in cui studiosi di aree diverse si scambiano competenze, punti di vista e suggestioni.
Fino a che livello uno psicologo può occuparsi seriamente di questi temi?
Realisticamente, e ricollegandomi alla precedente risposta, io credo che sia utile sia per i fisici che per gli studiosi di psicologia dialogare, anche senza formalismi. Questo ci riporta al problema della comunicazione (e non della divulgazione!), che dovrebbe essere fatta di incontri ed onesti lavori
interdisciplinari. Fortunatamente, anche se non molti, ce ne sono, sia in forma di papers reperibili in rete che di libri. Nel nostro paese sembra che ci sia un maggior timore a sfidare il cartesian cut!
Come si può praticare in campo accademico il crossing disciplinare, cioè nè in maniera solipsistica nè delegando ad altri tutto ciò che non fa parte del proprio campo di indagini?
Praticare la curiosità sta diventando un'attività rara, considerata quasi al rango di una perversione. Vedo troppi studenti di dottorato i cui orizzonti intellettuali sono costituiti soltanto dalla loro tesi e dunque, implicitamente, dai desiderata dei propri professori. Andare a curiosare nella "porta accanto" , come diceva Norbert Wiener, non è solo utile a chi lo fa, ma è un motore indispensabile per lo sviluppo della conoscenza scientifica. Del resto, è anche responsabilità di chi è avanti su questo percorso interdisciplinare fare il possibile per moltiplicare le occasioni di incontro e formative.Questo punto comprende anche la necessità di un processo di meta-noia epistemologica.
Nell'ottica epistemica costruttivista secondo lei in che modo la psicologia clinica può contribuire alla "terra di mezzo" della fisica?
Il tessuto del mondo è uno, siamo noi a tagliarlo per comodità d'indagine e credere poi che il taglio è nelle cose! Non può esistere una Physis completa che non è in grado di connettersi organicamente ed a più livelli con il range biologico e psicologico. Con "più livelli" intendo che questo gioco di
connessioni organiche molto verosimilmente non può essere realizzato in un'ottica riduzionista, secondo una catena di teorie del tipo atomi-molecole-cellule-neuroni e così via. Più il sistema diventa complesso più debole diventa l'approccio riduzionista, perchè ad essere sempre più
rilevanti non sono i costituenti ma i comportamenti collettivi emergenti e la storia individuale del sistema (le condizioni al contorno, le cose del tipo: "è andata così").Quello che ci aspettiamo è piuttosto un arcipelago di modelliconnessi in più modi su problemi diversi .Come dice David Deutsch, un insieme di chiavi per comprendere il mondo, ed una loro integrazione: evoluzione,
teoria quantistica, teoria dell'informazione, scienza cognitiva. Un esempio è dato dalla stessateoria quantistica: è necessaria per descrivere il processo fisico delle sinapsi, ma a quel livello è fisiologia. La ritroviamo poi con il quantum brain come descrizione di una super rete neurale che gestisce i
comportamenti globali delle aree funzionali del cervello. Più livelli di descrizione,più modelli. La cosa naturalmente può e dev'essere vista anche dal punto di vista della psicologia, della filosofia della mente e dell'epistemologia: abbandonata l'idea del realismo "naive" (le leggi sono "già lì"), se guardiamo alla descrizione del mondo fisico troviamo delle costanti cognitive. Direi che il primo a rendersene conto è stato Kant, con lo spazio ed il tempo a priori, come hanno notato acutamente nei loro saggi Ermanno Bencivenga e Massimo Piattelli Palmarini. Poi ci sono le descrizioni dinamiche e continue: ci sembra di capire qualcosa quando la descriviamo in termini di oggetti che si muovono nello spazio e nel tempo. Ma ci sono ambiti, come la cosmologia quantistica o la gravità quantistica, dove l'idea dinamica e continua sembra venir meno. L'attività creativa della nostra mente somiglia per alcuni versi alla morfogenesi delle forme viventi, una successione infinita di variazioni su pochi temi fondamentali, per lo più tratti dalla nostra esperienza sensibile. E' possibile che se esiste una descrizione non dico "ultima" ma più ampia del mondo potrà essere basata su principi e concetto completamente nuovi. Il compito della psicologia e delle scienze cognitive è quello di comprendere perchè tendiamo a costruire modelli di un certo tipo, ed abbiamo invece difficoltà a pensare in quelle direzioni che la fisica più avanzata sembra indicarci: atemporalità, non-località, principio olografico.Infine, non dobbiamo dimenticare che a dispetto delle convenzionali suddivisioni in discipline hard e soft, fisica e psicologia sono scienze. Ed il metodo della scienza è l'osservazione puntuale e l'attività di modellizzazione. Non ci aspettiamo una convergenza "finale" in una improbabile “teoria del tutto e di ogni cosa”, ma più realisticamente una feconda integrazione sempre più stretta tra le due discipline.
Intervista di Giorgio Marinato, psicologia clinica, Università degli Studi di Padova.