Zippare il mondo

 Il termine "complessità"  condivide con altre parole sfortunate della storia della scienza – come "cibernetica"! – un rapido svuotamento di senso.

Non ci riferiamo qui alle varie definizioni di complessità, J. Horgan, From Complexity to Perplexity, quanto alla tendenza, particolarmente diffusa nel nostro paese, di associare questo termine ad una fumosità ideologica e vagamente a-scientifica (lo diciamo qui nello stesso senso in cui Bach usò a-musica per la principessa di Kothen: mancanza di orecchio per la scienza……quella autentica!).

Nell'attesa dell'uscita dell'edizione italiana del bel libro di Alessandro Giuliani e Joe  Zbilut , L'Ordine della Complessità  per i tipi di Jaca Books , provo a raccogliere la sfida di raccontare i sistemi complessi in modo……..semplice!

Una vulgata diffusa vede nell'attività scientifica un metodo per "zippare il mondo" dentro una formula o un algoritmo: si mettono le condizioni al contorno dentro le equazioni et voilà, il mondo è calcolabile! A parte naturalmente qualche fastidiosa incertezza  pratica o relegata in qualche remota, esotica zona quantistica. Una deriva di questo modo di pensare è la mitologia delle teorie del tutto, dove si cerca la ricetta del "codice cosmico" in un pugno di formule relative alle interazioni tra "mattoni fondamentali".

Il problema è che gran parte delle cose interessanti del mondo non può essere descritto così (vedi la critica di P.Anderson) , e che nella "terra di mezzo" (R. Laughlin e D. Pines) che va dalle proteine ai mercati finanziari  questo approccio riduzionista fallisce perché i comportamenti collettivi di un sistema sono in larga misura indifferenti al dettaglio microscopico, come nel caso delle transizioni di fase, che storicamente hanno fornito molti strumenti concettuali per lo studio della complessità.

Tentiamo  una definizione “minimale” di sistema complesso: Un sistema complesso è un sistema che mostra un comportamento imprevedibile in dettaglio, non "zippabile" in un singolo modello formale. Nei sistemi ad alta apertura logica (che non soltanto scambiano materia-energia con l’ambiente, ma modificano anche il loro assetto informazionale) è impossibile distinguere un comportamento “in vitro” (sistemi chiusi, descrivibili da un singolo modello formale, dove il concetto di "costituente elementare" e il rapporto con l'ambiente sono “stabili”), da uno “in vivo”. Ne consegue il primo principio dei sistemi complessi o dell’apertura logica: i  sistemi complessi sono sistemi aperti, sensibili al contesto. Molte sono le possibili inter-relazioni a cui dà vita l'accoppiamento sistema-ambiente, ed ecco dunque il secondo principio "di indifferenza": un sistema complesso dispiega molti diversi comportamenti sostanzialmente equivalenti dal punto di vista energetico e quindi impossibili da classificare in un ordine gerarchico, neppure di tipo  probabilistico. Abbiamo sottolineato quest’ultimo punto per indicare che qui abbiamo a che fare con una impredicibilità più radicale di quella quantistica o di quella non-lineare ed allo stesso tempo di natura meno lontana dalla nostra esperienza quotidiana. E’ una indifferenza del tipo “Sliding Doors”(Helen prende il metrò- Helen perde il metrò), il sistema può scegliere più “storie” possibili,  ed ognuna realizzerà un “destino” assolutamente diverso.

 

Sliding%20DoorsLaughlin at work

Bob Laughlin studia le “sliding doors” dei sistemi complessi

 

La storia dinamica di un sistema complesso è ben lontana dal seguire le regole “domestiche” della matematica tradizionale, tanto che è necessaria una matematica "di processo" che tiene conto delle singolarità, dei punti terminali e del rumore ambientale, insomma del comportamento “globale” più che delle storie singole. Da qui segue il terzo principio, “faccio prima ad osservarlo”: il cammino del sistema verso uno stato finale è decisivo per definire lo stato stesso, e non può essere distinto da questo. I sistemi complessi, possono solo essere  raccontati da storie conseguenti  ma non predefinite a priori. Bisogna notare che queste osservazioni, così eccentriche nei problemi tradizionali di fisica, dove condizioni al contorno ed iniziali sono una cosa ben diversa dalla “legge” che regge il fenomeno – i primi rappresentando la “contingenza”, l’altra invece la “necessità” -, sono assolutamente ovvi nel campo ad esempio dei processi cognitivi, motivo dei fallimenti storici dell’intelligenza artificiale e della ricerca di “leggi del pensiero” algoritmiche.

Il quarto principio riguarda perciò il rapporto struttura-funzione, inestricabilità della struttura dalla dinamica di un sistema complesso: il sistema è la sua storia!

Le caratteristiche generali dei sistemi complessi permettono loro una “flessibilità” ed una capacità di “adattamento” che rendono possibile la vita e la cognizione, e mostrano il legame profondo tra impredicibilità, incertezza ed emergenza. E’ questo il principio della “sorpresa”: i sistemi complessi manifestano proprietà di emergenza radicale. Con quest’ultimo termine indichiamo il manifestarsi di proprietà non deducibili da un modello predefinito del sistema come risposta alla specifica situazione di accoppiamento con l’ambiente.

Un universo deterministico è un mondo totalmente assimilabile ad una macchina di Turing, e lo stesso osservatore ha il ruolo di “registratore” di eventi: accadono molte cose- dai moti dei pianeti all’evoluzione delle equazioni d’onda della fisica quantistica- ma tutte contenute nel “codice cosmico” delle leggi fondamentali. Nei sistemi complessi invece è il singolo processo che conta, ed il modo in cui si realizza,  le “leggi” sono solo elementi stabili di un quadro dinamico molto articolato, in cui emergono sorprese non deducibili da un singolo modello formale. Sono necessari più modelli, ognuno in grado di “fotografare” un aspetto diverso del sistema.

Nella stragrande maggioranza dei casi il modello unico- basato magari sui “mattoni fondamentali”- equivale a costruire “toy-model” e “spazzare sotto il tappeto” la complessità. Non esiste un rassicurante “confine” fisso tra sistema ed ambiente, e la stessa identificabilità dei costituenti elementari cambia con le dinamiche collettive. E’ una strategia, quella riduzionista, che può dare buoni frutti, ed ha il merito di aver guidato lo stile della spiegazione scientifica in modo fecondo per circa tre secoli, ma non può essere applicato in ogni situazione. Fare i conti con la complessità significa accettare un’incertezza radicale, simile a quella che ognuno di noi sperimenta nella pluralità delle scelte possibili della vita.

In natura non ci sono soltanto oggetti ma anche comportamenti di oggetti che non possono essere osservati se ci concentriamo soltanto sul livello dei costituenti elementari, ammesso che questi ultimi siano sempre identificabili senza ambiguità. Dunque un osservatore “universale” dovrebbe poter non soltanto seguire ogni singolo comportamento individuale, ma anche le miriadi di comportamenti collettivi in cui l’oggetto può essere contemporaneamente coinvolto! E questo equivale semplicemente ad affermare che la miglior “narrazione”  del mondo è l’evoluzione stessa dei processi naturali. Gli osservatori scientifici, invece, sono sempre situati, e l’incertezza ed i limiti dei loro modelli sono lo stimolo profondo per nuove esplorazioni e prospettive.

 

 

 

  • Rita Benigno |

    Caro Ignazio,
    ho appena finito di leggere, con ammirata ed avida meraviglia, il tuo nuovo saggio.
    C’è da ringraziarti per lo sforzo non comune cui ti sottoponi, che è quello di comunicare scienza e di farlo in modo comprensibile anche per chi vi è poco aduso. Ancor di più per quest’ultima perla, che dice una parola chiara – oltre che chiarificatrice – sulle tante “vulgate” erronee riferite alla semplicità ed alla calcolabilità del mondo, molto spesso usate allo scopo di legittimare una ben precisa e determinata visione della società. Non credo di sbagliare, in ogni caso, se affermo che la resistenza di simili vulgate – nonostante gli sviluppi contrari della scienza – siano un retaggio dell’illuminismo e del positivismo. E’ stato grande merito di Adorno e Horkheimer, nella “Dialettica dell’illuminismo”, l’averne evidenziato l’aspetto negativo proprio nella sua riduzione del mondo a quantità e calcolabilità: “Tutto ciò che non si risolve in numeri, e in definitiva nell’uno, diventa, per l’illuminismo, apparenza; e il positivismo moderno lo confina nella letteratura [ … ] Identificando in anticipo il mondo matematizzato fino in fondo con la verità, l’illuminismo si crede al sicuro dal ritorno del mito”.
    Tutto ciò, naturalmente, ha portato all’abbandono di ogni pretesa di conoscenza, perché in un mondo in cui tutto è conoscibile e calcolabile si finisce per l’accettare acriticamente i fini predisposti dal sistema: «L’industria culturale, la società ultraorganizzata, l’economia pianificata hanno beffardamente realizzato l’uomo come essere generico. […] Egli stesso, come individuo, è l’assolutamente sostituibile, il puro nulla”. Si celebra così e continuamente l’”apoteosi del tipo medio”».
    Persino il grande Heidegger, inaugurando il fenomeno del gigantismo, ha finito per celebrare il mito della calcolabilità nella sua rappresentazione attraverso l’innumerevole; e pur se la fisica quantistica aveva già tolto il velo a quell’innumerevole, svelandolo per mezzo dell’indeterminazione heisenberghiana, il Maestro di Friburgo non la interpretò come una “svolta epocale”, bensì come una “rottura dell’ordine del tempo” – come ha osservato Andrea Brocchieri dell’Università di Trento.
    E’ una fotografia attualissima del nostro mondo, laddove il riconoscimento della complessità spaventa ed è, forse, un esercizio troppo faticoso. Molto più semplice, invece, è tentare di “zippare il mondo” dentro un’quazione matematica. Più comprensibile e rassicurante anche per chi – pur non conoscendo il reale significato scientifico di una tale affermazione – può anche far ricorso, per analogia, alla figura dei file zip con cui normalmente comprimiamo sui nostri PC quantità di dati innumerevoli.
    “Complesso”, del resto, è ciò che comunemente presenta difficoltà di comprensione o di classificazione o di orientamento; in poche parole, è ciò che è complicato. Eppure – ed a ben vedere – dal latino “complexus”, participio passato di “complecti”, significa anche comprendere, abbracciare. E’ la lezione che io assumo dalle tue parole: termini come apertura, emergenza, impredicibilità ed incertezza ci narrano di un mondo profondamente connesso, in cui non esistono sistemi chiusi ed isolati, ma innumerevoli scambi di energia, ed al cui interno quel “principio della sorpresa” è proprio ciò che permette il celebrarsi della vita.
    Questi modelli della complessità indicano una struttura dell’universo troppo ricca per essere compresa e contenuta da una sola disciplina scientifica. Cadono gli steccati fra il filosofo, l’artista, lo scienziato, ponendo fine alla loro atavica incomunicabilità; facendoli “abbracciare”, in qualche modo. Ed il mondo si riappropria di un pò del suo mistero ed anche del suo fascino.
    Un dialogo transdisciplinare che tu pratichi ogni giorno attraverso rimandi e connessioni alla filosofia, alla musica, alla letteratura, al cinema, alla pittura … ciò che si può meglio e di più comprendere e gustare attraverso la lettura delle tue “Connessioni Inattese. Crossing tra arte e scienza”.

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