Il Principio della Massima Diversità

L’assioma implicito che accompagna la vita di ognuno è quello di essere un po’ speciali e al centro di tutto. Ci aiuta nei momenti difficili. Per estensione è anche l’idea che la razza umana si è fatta del proprio posto in Natura. Si chiama antropocentrismo e  storicamente ha sempre subito dei brutti colpi. Abbiamo imparato infatti che non siamo al centro dell’universo, siamo un “prodotto” dell’evoluzione naturale, e persino i campioni mondiali di scacchi iniziano a prenderle sonoramente dai computer ( Garry Kasparov contro Deep Blue, frutto di un team di giocatori e programmatori allevato in casa IBM).

Come se non bastasse, da pochi anni  è stata completata la mappatura del genoma, ossia la decodifica delle sequenze di istruzioni base contenute nel DNA umano, la molecola che contiene il progetto “uomo” ed è presente in ogni cellula. Si tratta di un “programma” di circa 100.000 geni, il cui studio ha occupato i migliori cervelli del pianeta e l’uso di super-calcolatori per decenni. Il genoma contiene le istruzioni sul “come” e il “quando” si formeranno organi, tessuti e sistemi, e gioca un ruolo fondamentale nella comprensione delle caratteristiche ereditarie. I risultati sono sconfortanti per i sostenitori dello human-pride : il nostro DNA differisce da quello del macaco solo per il 2%( e fin qui ci avevano preparati Darwin e Co.), abbiamo il 60% in comune con la mosca Drosophila, il 75% con il verme nematode e ben il 90%  con il topo!

Non c’è neppure il tempo di riaversi dalla sorpresa che sorgono già un mucchio di problemi. Darwin viene screditato dai sapienti dell’amministrazione Bush (a proposito: bye bye!)  che reintroducono nello scuole lo studio del creazionismo proprio nel momento in cui la mappatura del genoma sigla il successo della geniale intuizione dello scienziato inglese e permette un piccolo passo avanti nella comprensione di alcune malattie ereditarie; le multinazionali fanno a gara per brevettare organismi geneticamente modificati che promettono super-pomodori, colture indistruttibili e cibo a sazietà; i media cominciano a riproporre lo spettro di Frankenstein, con il suo carrozzone degli orrori di bambini clonati, pecore volanti, fabbriche di Pamela Anderson fatte in serie, farfalle dai colori strani e conigli verdi fluorescenti (questi ultimi due purtroppo sono stati realizzati davvero, non da uno scienziato ma da un’artista, Eduardo Kac, che lavora con il genoma utilizzandolo come ideale “tavolozza” e si diverte a realizzare mostruosità).

Albagreen  

Questa è una classica situazione di confusione in cui fattori legati trasversalmente a derive culturali, logica del profitto e sensazionalismo mediatico si legano assieme e costituiscono una sorta di coltre che oscura l’essenzialità del  fatto scientifico e le sue lezioni fondamentali.

Se il vostro DNA e quello di un topo sono così simili, dove sta davvero la differenza? Il punto può essere chiarito con un esempio. Considerate due amici che acquistano lo stesso giorno due computer uguali. Dopo qualche mese i due pc saranno notevolmente diversi non soltanto nei contenuti, e nei programmi utilizzati ma anche nelle prestazioni. Solitamente quello del vostro amico è più veloce e non si inceppa mai, a differenza del vostro. E voi beccate almeno un virus al giorno, nonostante il continuo aggiornamento anti-virus, mentre quello dell’amico è “pulito” anche senza programmi di difesa ( non saranno “quei” siti?). Tutto questo è piuttosto ovvio e riflette non tanto la differenza tra i due computer quanto quella tra voi e il vostro amico. Ecco come da due hardware uguali si può ottenere uno sviluppo diverso.

Il ruolo che giocate voi per il vostro pc, ossia quello di metterlo in relazione con l’ambiente esterno fissandone le caratteristiche ed i malfunzionamenti, nel DNA è svolto da un gruppo di polimeri chiamati proteine. Sono queste che in un incessante via vai attivano l’informazione che “dorme” nel DNA, fornendo i materiali da costruzione, realizzando effettivamente il progetto del genoma attraverso un complesso gioco di intrecci di segnali, geometrie di informazioni, trascrizioni sbagliate, inibizioni e così via. Le proteine sono il collegamento tra la realizzazione del progetto della vita e la sua mera potenzialità contenuta nel codice genetico. Comprendere correttamente il ruolo delle proteine è infatti la sfida centrale della biologia, e stavolta non basterà un po’ di intelligenza e molti super-computer, ma ci vorrà molta creatività e probabilmente calcolatori di nuovo tipo, basati proprio sui principi biologici (bio-chips). La cosa dannatamente difficile da comprendere è come le proteine svolgono la loro azione di attivazione dell’ informazione sul  DNA. Per farlo utilizzano infatti un particolare “ripiegamento” (folding protein) che sembra diverso ogni volta e che non appare soggetto ad alcuna regola semplice. Non è difficile allora comprendere come la musica della vita sia un raffinato e multiforme gioco di variazioni su pochi temi essenziali.

In definitiva il DNA è soltanto uno “stupido” cristallo che contiene un programma “minimo” su cui la danza proteica costruisce le forme biologiche. Questo dovrebbe bastare per ridicolizzare certi proclami di determinismo genetico del tipo: chi ha il gene X è destinato ad avere la qualità Y, dove Y può essere una malattia, ma anche una tendenza sessuale, una vocazione intellettuale, una percezione estetica, e così via. Niente di più falso! La cosa, come abbiamo visto, è fortunatamente molto più complessa.

C’è un messaggio in tutto questo, un messaggio che ci riporta alle ultime righe del capolavoro di Darwin, l’Origine delle Specie:Vi è qualcosa di grandioso in questa Concezione della vita, con le sue diverse forme originariamente impresse dal Creatore in poche forme, e nel fatto che da un così semplice inizio innumerevoli forme, bellissime e meravigliose, si sono evolute e continuano ad evolversi. (Per inciso vorrei far notare agli odierni anti-evoluzionisti come Darwin non si poneva minimamente il problema di dover conciliare la creazione con l’evoluzione. La fantasia della natura è davvero inesauribile e nessuno poteva prevedere l’esistenza di una “forma” come il pensiero dei neo-reazionari !).

Questo messaggio va oltre la biologia e attraversa tutta la nostra esperienza. Le forme si moltiplicano e si modificano continuamente. Nell’ecosistema della mente i pensieri migliori e più creativi sono quelli che danno risposte inaspettate a problemi difficili; secondo alcune recenti teorie cosmologiche nuovi universi si sviluppano attraverso una schiuma quantistica da un multiverso “madre”; in amore diciamo e facciamo più o meno sempre le stesse cose, ma ciò non impedisce alle coppie di formarsi ed ai bambini di nascere. 400px-Freeman_Dyson  

Da tutto questo si può trarre un principio generale che il fisico teorico Freeman Dyson ha espresso in questo modo: Ogni cosa va nella direzione della massima diversità possibile. Questo principio della diversità dovrebbe essere non un semplice fatto naturale, ma un principio etico: agisci sempre in modo da moltiplicare le possibilità. Questa è la ragione per cui c’è una preoccupazione sull’impatto degli organismi geneticamente modificati sulla  naturale bio-diversità con effetti a medio e lungo termine imprevedibili. Questa è anche la forza della democrazia, poiché come scrisse Popper, pur con le sue inevitabili imperfezioni, è la forma di governo che  promuove la diversità e contiene in sé le enormi potenzialità della tolleranza, dello sviluppo e della correzione di rotta.

E l’orgoglio umano? Anche qui c’è una lezione preziosa. Un uomo non è importante per uno status astratto assegnatogli da un principio metafisico e da un’ ostinata egocentrica convinzione personale, ma lo diventa con la varietà delle sue relazioni con gli altri e la capacità di accogliere dentro di sé e trasformare in risorsa l’imprevedibile diversità del mondo

MACACO

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  • Stefano |

    Caro Ignazio,
    complimenti per la tua intelligente sintesi, opera non facile per la vastità e la portata degli argomenti, intorno ai quali si sente la forte necessità di una discussione pacata e informata, lontana dai rumori delle schermaglie tra evoluzionisti e creazionisti che perfino qui erompono dai commenti.
    Il problema non è fare la guerra al creazionismo. Il problema è investigare e capire la complessità che ci circonda e offrirne una spiegazione (scientifica) convincente. Le ricerche in questo ambito sono tutt’altro che stagnanti, e i risultati sono incoraggianti anche se richiedono il coraggio di un mutamento di forma mentis: d’altronde il paradigma scientifico riduzionistico e deterministico entro cui si è formata la cultura occidentale degli ultimi secoli attraversa da anni una crisi irreversibile.
    La legge della diversità crescente ha una base scientifica (Stuart Kauffman, ad esempio, ne ha scritto in alcuni suoi libri) e, come suggerisci tu, potrebbero venire da qui sviluppi assai interessanti.
    Keep up the good work!

  • Vittorio Naso |

    Caro Ignazio non sono d’accordo:
    il Dna non può essere considerato un “stupido” cristallo che ha cominciato a riprodursi. Sono queste considerazioni che danno forza al popolo variegato degli antievoluzionisti poiché l’argomentazione della superiorità delle relazioni su ciò che crea quelle relazioni disconosce completamente il mistero che è alla base della vita e produce teorie creazioniste molto forti. Il concetto di “complessità irriducibile” di Michael Behe per esempio pone problemi di logica non indifferenti. Su questo punto è invece che deve cominciare il confronto poiché le teorie evolutive attuali sono molto problematiche poiché il caso è stato mitizzato ed il caso è solo il caso, non può creare la vita.
    Non facciamo lo stesso errore dei creazionisti !
    Ciao Ignazio
    Ti critico ma sei grande
    Vittorio Naso

  • Rita Benigno |

    Sono affascinata.
    Che cosa commentare? Da vera profana della biologia, qualsiasi mio commento assumerebbe la forma di una banalizzazione superficiale e supponente. Tuttavia, neppure la dimensione per molti versi autosufficiente della scienza e della tecnica può fare a meno della speculazione filosofica che “prima ancora di …”, ma anche “a partire da …” si interroga e fa questione sull’essere, la natura, la vita e il mondo. E non è un caso – non potrebbe certamente esserlo – che importanti scienziati, fisici, matematici siano stati e siano altrettanto validi filosofi. E tu stesso, del resto, poni la necessità di un orizzonte etico e politico in grado di trascendere il mero dato biologico e scientifico.
    Ciò che sento di poter dire è che proprio il concetto di diversità mette ulteriormente a nudo la follia della visione antropocentrica del mondo, in cui il materialismo ed il meccanicismo cartesiani ci hanno per lungo tempo imprigionati.
    C’è un bel libro di Vilma Baricalla –L’uomo, la bestia, i cieli (Edizioni ETS 2000) – in cui l’autrice non si limita alla critica dell’antropocentrismo nel confronto con il mondo animale, ma – parlando dei fantastici scritti di Cyrano de Bergerac che, immaginandosi uomo al cospetto di fiabeschi abitanti della Luna e del Sole, deve dissociarsi dal genere umano per non apparire, egli stesso, un essere inferiore – si spinge ad ipotizzare che noi, che consideriamo inferiori gli animali, potremmo essere considerati tali dagli extraterrestri.
    Senza volermi dilungare oltre, credo che – a dispetto dei deliri contemporanei evocanti un improbabile orizzonte postumano, come postulato dalla nuova dottrina filosofica meglio conosciuta con il nome di “transumanesimo” – tutto ciò ci dica che ogni essere vivente – ma anche la natura, in quanto parte indispensabile del nostro stesso divenire – vada rispettato proprio in quanto dissimile, diverso. È la necessità di una filosofia della natura fondata sul valore delle diversità, che riguarda proprio il nostro modo di dialogare con l’ambiente, ma anche il modo di guardare l’altro, lo straniero, colui che Jacques Derrida definiva “l’arrivante”; e che chiama in causa il rispetto di ogni forma di diversità biologica, sessuale e culturale che caratterizza il nostro mondo.

  • Graziano Terenzi |

    Caro Ignazio,
    l’idea che esista una tendenza naturale verso la massimizzazione della “requisite variety” e quindi la moltiplicazione delle possibilità, non solo nel mondo biologico ma anche nel mondo “sociale” e nell’esperienza personale, sembra essere una caratteristica generale della capacità adattativa degli organismi (o sistemi adattativi) a tutti i livelli di complessità. Come sempre, l’idea da te espressa è ricca non solo di implicazioni culturali ma soprattutto etiche e sociali. La penetrazione di questo pensiero nel tessuto culturale della nostra società è sicuramente una sfida difficile da raccogliere. Per questo voglio invitare a riflettere sulla seguente questione:
    Che cosa può significare esattamente e in concreto “moltiplicare le possibilità” senza tuttavia perdere “l’identità” all’interno di una società complessa come per esempio quella italiana? Innanzitutto, stiamo andando in questa direzione o ci stiamo sforzando per andare nella direzione opposta? Come dovrebbe essere organizzata la nostra società per esibire questa ineludibile caratteristica evolutiva?

  • MarioEs |

    Ciao Ignazio,
    molto bello questo post per cui proverò a fare una riflessione un pò provocatoria.
    Il fatto che la teoria evoluzionistica, il neo-darwinismo come lo si definisce oggi, riscuota inaspettatamente sempre più opposizioni è un fatto sul quale occorre, a mio avviso, riflettere a fondo.
    Sarebbe, per altro, interessante riuscire a stabilire se c’è una correlazione tra i programmi scolastici e lo spazio dedicato all’argomento da un lato ed il proliferare di tendenze di pensiero contrapposte dall’altro.
    L’ignoranza e la disinformazione, da sempre, creano e fomentano credenze, miti, leggende, ideologie.
    La “barbarie” della coscienza, come insegna Morin, è sempre dietro l’angolo perchè homo sapiens è in realtà anche homo demens e troppo spesso la razionalità è solo la buccia con la quale si maschera la “follia”.
    Per questo motivo, forse, in un’epoca fluida – liquida come direbbe Bauman – dove non ci sono più certezze e dove si era sperato nella scienza come “certezza assoluta”, come unico ed ultimo baluardo del dominio dell’uomo sulla Natura e dove questa scienza, invece, ha ammesso tutti i propri limiti metodologici e la propria inadeguatezza di fronte alla enorme complessità della realtà, la società ed i suoi individui hanno visto il rifiorire di nuovi totem, di nuove credenze, di nuovi miti, riti, culture esoteriche, settarismi e neo-tribalismi.
    La scienza occidentale, per di più, si è focalizzata troppo sull’ “oggetto”, distaccandosi dal soggetto e dalla coscienza individuale, risultando in tal modo molto probabilmente un paradigma culturale ed una “visione del mondo” troppo “arida” per una “massa” di esseri umani fatta di “vita e sangue” e di “sentimenti comuni”.
    I bisogni di questa “massa”, oggi per altro frammentata in tante tribù, sono soddisfatti da “nuove promesse”, che cercano di soddisfare il bisogno di piccole certezze in un mare di instabilità, quello che potremmo definire il “bisogno di salvezza”.
    Ecco il creazionismo, ecco il fondamentalismo religioso, i fiorenti nazionalismi, i conflitti etnico-identitari e, per certi versi, il fenomeno crescente dell’ “homo cyborg” che cerca “salvezza” dalla tecnoscienza e dalla sua integrazione profonda con sé stesso ed i suoi simili.
    Tutto questo dovrebbe forse farci capire che occorre un profondo ripensamento sulla comunicazione della scienza, sul suo insegnamento e sulle sue finalità, cercando di tornare a dare una giusta importanza alle persone, al “soggetto” in termini filosofici, evitando forme di normalizzazione culturale, che sottendono sempre una semplificazione della complessità del reale (fino a forme di “intelligenza cieca” direbbe Morin), e aprendosi alla contaminazione con discipline anche umanistiche.
    Occorre capire da dove arriva “il malcontento” e cercare di porvi rimedio anche con l’auto-critica.
    Magari spiegando meglio al mondo non solo cosa è l’evoluzione, ma anche cosa è un uomo, cosa è la Vita e non solo quella biologica.
    Diamo più “cuore” alla scienza e forse la gente si lascerà fuorviare meno da teorie quanto meno molto dubbie ed opinabili.
    Che ne pensi?

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