Durante il mio primo anno d’università, nel 1979, il successo della teoria elettrodebole fruttò il Nobel a Glashow, Weinberg e Salam, accendendo l’entusiasmo di una generazione di fisici per i nuovi orizzonti delle teorie unificate. Nessuno avrebbe potuto immaginare l’enorme dibattito attuale sulla cosmologia, che era allora un argomento per matematici un po’ eccentrici. Oggi appare chiaro che una “teoria del tutto” non può essere completa senza una storia dello spazio-tempo e della materia, e il famoso campo di Higgs che sostiene la versione più accreditata del Big Bang inflazionario e accelerato deriva proprio dalla fisica delle particelle e ne sancisce l’intima connessione. A questa nuova centralità del problema cosmologico hanno contribuito la tecnologia. Dal 1991 la mappatura fine della radiazione cosmica di fondo inaugurata dal satellite COBE e seguita dalle missioni Boomerang e Maxima, WMAP e Planck hanno segnato l’avvento della cosmologia osservativa di alta precisione, riaprendo il dibattito teorico. Il Big- Bang non è infatti una teoria univoca, ma un quadro concettuale estremamente vivace e controverso, ormai lontano dal vecchio “palloncino termodinamico” di Lemaitre e Gamow.
Possiamo identificare due problemi fondamentali degli attuali modelli cosmologici, entrambi legati alla struttura delle equazioni di Einstein della gravità. Si tratta di equazioni che ammettono un gran numero di soluzioni, a seconda delle ipotesi fatte, e permettono di calcolare la curvatura e la dinamica temporale, ma non ci dicono nulla sulla geometria globale dell’universo. Quest’ultima è una proprietà a grandissima scala che non può essere ricavata né da equazioni essenzialmente locali che ci dicono come cadono le mele e come i buchi neri curvano lo spazio-tempo, né dalle osservazioni, che coprono ancora soltanto qualche grado quadrato del cielo. Si introduce così un sottile circolo vizioso: i dati osservativi, dalle classiche misure dei red-shift alle fluttuazioni della radiazione cosmica, dovrebbero suggerirci un modello d’universo, ma possono farlo soltanto se viene assunta una geometria fissando una decina di parametri liberi!
L’altro problema riguarda la singolarità iniziale, inevitabile nel quadro della cosmologia relativistica, lo stato puntiforme a temperatura, densità e curvatura infinite dove le stesse leggi della fisica crollano, impedendo ogni domanda sull’origine dell’universo. Da qui lo status della cosmologia come strana scienza, che studia non una classe di fenomeni ma un unico ed inspiegabile evento.
A modificare questo quadro interviene la fisica quantistica, necessaria non perché- come erroneamente si dice- , l’universo era “piccolo” in origine, ma perché la trama stessa dello spazio-tempo e della materia è quantistica. I lavori pioneristici di Hartle-Hawking, Vilenkin e Linde e le recenti cosmologie di stringa descrivono il “pre-Big-Bang” e presentano un universo che balza fuori dal vuoto quantistico come fluttuazione, aprendo così lo scenario del multi-verso. In queste descrizioni infatti la singolarità geometrica iniziale viene “rimossa” con ipotesi legate alla teoria quantistica dei campi, e l’universo osservato è un evento all’interno di una classe di processi quantistici noti come effetto tunnel. Resta però aperto il problema della geometria globale.
Una proposta recente avanzata dall’autore e da L. Chiatti è quella dell’Universo Arcaico, in cui considerazioni generali di simmetria, senza alcun riferimento specifico a leggi locali, fissano in modo univoco la geometria globale in una ipersfera a 5 dimensioni detta universo di De Sitter, che viene assunto come forma geometrica del vuoto quantistico. Questa struttura è iperspaziale, a tempo immaginario e priva di singolarità geometriche, e vincola le caratteristiche strutturali ed evolutive dell’universo osservato. Il termine “arcaico” si riferisce al fatto che l’ipersfera non va considerata una fase “pre”, ma piuttosto la condizione al contorno più generale possibile per l’universo osservato. Se pensiamo alla dinamica evolutiva come ad un disegno su un foglio di carta, è corretto dire che il foglio non viene “prima” del disegno, ma ne è la condizione necessaria. La cosmologia arcaica è propriamente una proposta sulla forma del foglio. Lungi dall’essere una stranezza, il tempo immaginario è ben noto nella teoria quantistica, ed il passaggio a tempo reale attraverso una rotazione di Wick descrive il Big-Bang come un processo esteso di nucleazione quantistica su un piano proiettivo tangente alla 5-sfera. In termini più direttamente fisici è l’emergenza della freccia del tempo e dell’universo classico da una fase altamente non-locale. Altri vantaggi, oltre a fissare una geometria ed eliminare la singolarità, consistono in un’interpretazione puramente geometrica dell’inflazione e della costante cosmologica, eliminando molte ipotesi ad hoc. I termini proiettivi potrebbero trovare un banco di prova nei dati di Planck sulla polarizzazione della radiazione fossile e le onde gravitazionali.
Il legame organico tra la teoria quantistica e la cosmologia è appena agli inizi, ma le indicazioni teoriche mostrano una fecondità straordinaria che promette una visione unitaria tra fisica e geometria cercata sin dai tempi di Einstein.
Articolo pubblicato sul Sole24ore domenica 11 Settembre 2011 nello Speciale FestivalFilosofia