I Cigni Neri sono poi così neri? Taleb, De Finetti e la Probabilità

 

In questi ultimi anni Nassim Taleb ha condotto una serrata critica al concetto di probabilità ed allaBlack-swan  distribuzione statistica normale di Gauss, sottolineando l’importanza di quegli eventi rarissimi che modificano l’intero assetto di un sistema in modo impredicibile ed irreversibile, gli ormai famosi “Cigni Neri”. Esempi classici sono l’11 settembre e la crisi della borsa del ’29. Più recenti, la catastrofe di Fukushima ed i rivolgimenti nel Medio Oriente. Questi eventi non stanno sul picco più alto della “curva a campana” di Gauss, il luogo del “medio” e del “più frequente”, ma sono situati sugli asintoti ai due lati della curva, quello che Taleb chiama l’Estremistan. Il discorso può diventare complicato – ed in effetti c’è un intenso dibattito tra gli specialisti di teoria della probabilità su queste posizioni -, ma possiamo dire che quello di Taleb è soprattutto un assalto alle concezioni “oggettiviste” della probabilità (la definizione classica come numero di eventi favorevoli/ numero di casi possibili, o quella frequentista relativa al numero di osservazioni fatte), perché in effetti lo spazio campione di eventi di questo tipo è impossibile da costruire. Non ci puoi fare una statistica.

Image001 Ma il cigno non è poi così nero se consideriamo l’approccio soggettivista di Bruno De Finetti (1906-1985). Figura eccezionale di matematico e filosofo, la sua definizione di probabilità si sviluppa all’interno dell’idea intuitiva di “scommessa equa e coerente”, mettendo d’accordo matematica e scienze cognitive con l’accezione comune del termine “probabilità”, che è sempre correlata ad una valutazione soggettiva sulla verosimiglianza di un evento. Se smettiamo di considerare la probabilità come l’etichetta di un evento, ma la pensiamo piuttosto come un cartello indicatore o una nuvola di possibilità relative a quell’evento costruita sulla base delle informazioni dell’osservatore, allora è chiaro che gli eventi sono rari o rarissimi in base  alle nostre conoscenze. Vediamo le cose un po’ più da vicino. Un evento è rarissimo se la probabilità di verificarsi è estremamente bassa, e – come sostiene Taleb -, un cigno nero è proprio fuori dalla possibilità teorica del concetto stesso di probabilità. Ma questo è vero quando le informazioni disponibili sull’evento per ogni osservatore sono le stesse! Questa, analizzata con attenzione, è  un’ipotesi fin troppo forte. In realtà l’informazione non è mai distribuita uniformemente tra tutti, c’è sempre un osservatore che per la sua vicinanza all’evento sarà in grado di offrirne una valutazione di verosimiglianza. Sicuramente le previsioni sul Medio Oriente sarebbero sembrate assurde ad ogni “occidentale”, ma ben diverse erano quelle che potevano essere fatte da chi  operava, a più livelli, in zona. Stesso discorso per la Bosnia dal 91 al 95, ed infine miopia sistematica per i politici e gli imprenditori giapponesi. Il mercato sarà imprevedibile per il matematico dilettante o l’investitore inesperto, ma non per un  Gordon Gekko!

 In pratica, con le “carte giuste”, non c’è evento sul quale sia impossibile scommettere. Qui non si tratta di affidare alla probabilità un impossibile ruolo di previsione, ma di usare le nostre conoscenze per una ragionevole attenzione, fino ad arrivare alla nozione di strategia, il ruolo attivo dell’osservatore,  efficacemente espresso dalla fulminante e celebre frase di De Finetti: “sapere come le cose andranno, come se andassero per conto loro (…) è un problema di decisione, non di previsione”.

Condividiamo invece le perplessità di Taleb sulla curva di Gauss. Questa curva vale nel caso di situazioni perfettamente casuali (lanci di dadi e palline non truccate, random walk – un passo avanti o uno indietro a seconda dell’uscita testa/croce di una moneta -, distribuzione degli errori in una misura), ma in effetti gran parte delle distribuzioni di eventi casuali (i.e., non prevedibili) non seguono la curva random di Gauss, ma piuttosto hanno una distribuzione a “legge di potenza”; mettiamole a confronto nell’immagine che segue:  
Immagine14 Andamenti di questo tipo li troviamo nella frequenza di distribuzione di cose molto diverse tra loro: le parole in un testo, la grandezza delle città, i contatti su internet, la magnitudo dei terremoti, i movimenti di mercato, le citazioni nella letteratura scientifica, le reti biologiche. E’ una legge di potenza quella che aveva scoperto il sociologo ed economista Vilfredo Pareto, quando stabilì che l’80 % delle ricchezze erano in mano al 20% della popolazione, cosa che viene spesso ironicamente denominata “effetto Matteo”, con riferimento all’evangelico “a chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto”.

Perché sistemi complessi così diversi mostrano distribuzioni di questo tipo? La risposta sono  le reti di piccolo mondo! Il fatto è che gran parte degli eventi casuali non accadono nel vuoto senza memoria della casualità pura, ma si inscrivono in reti di eventi già prefigurate, e dunque si “agganciano” a catene preesistenti, costituite da una struttura forte di hub connettivi che bypassano le informazioni tra gli altri nodi. Immagine1 Esempi di hub sono “l’amico di tutti”,  i connettivi nella lingua, i grossi scali aeroportuali. In biologia le reti “small worlds” si trovano praticamente ovunque, perché garantiscono flessibilità (non troppo ordinato) ed efficienza (non troppo disordinato).  In scenari come questi i cigni non sono poi così neri ma grigi: in altre parole, una catastrofe può essere l’estinzione di uno o più hub, ma globalmente il sistema continua ad avere un suo funzionamento, una sua autonomia e dunque una  dinamica globale che guida le nostre valutazioni di rischio. Non voglio dare l’impressione di poter colonizzare l’Estremistan di Taleb. Piuttosto voglio suggerire che i cigni neri rientrano in quello che i fisici dell’emergenza conoscono come principio di indifferenza: un sistema complesso dispiega molti comportamenti diversi sostanzialmente equivalenti dal punto di vista energetico, ed è impossibile una previsione univoca sul modo di utilizzare l’energia/informazione a disposizione. Non possiamo conoscere tutti i fattori, e sicuramente nella maggior parte dei casi  è più facile “ricostruire” a posteriori un evento che disporre di un impossibile armamentario teorico per dedurlo a priori (“faccio prima ad osservarlo). Ma questo non vuol dire che siano impossibili ragionevoli valutazioni di rischi, azioni  e precauzioni. Che anche i cigni neri possano essere illuminati almeno un po’ è anche quello che sostiene Albert Laszlo Barabasi nel suo ultimo libro, Lampi, che riassume anni di studi con il suo gruppo  sulla “Human Dynamics” . Insomma, bisogna stare attenti, criticando la probabilità oggettiva, a non creare una casualità oggettiva ed inafferrabile, ammettendo dunque implicitamente che l’unica scienza possibile è quella che pretende di calcolare tutto in dettaglio. Se accettiamo la sfida seduttiva della casualità possiamo invece  ampliare il concetto stesso di “scienza”, fare scommesse ragionevoli, e migliorare il nostro  orecchio con l’ascolto del mondo.

Nota: devo molto ai dibattiti sulla probabilità con l' amico Marcello Mastroleo, un giovane, brillante matematico. Questo post è un'estratto dal mio "Complessità. Un'Introduzione Semplice", di prossima pubblicazione per duepuntiedizioni.

  • Francesco Pelillo |

    Geniale come sempre Iganzio licata. Anche qundo sceglie le citazioni per confermare la sua visione del mondo. Eppure, quanti fisici e filosofi continuano a parlare di casualità e determinismo in modo dicotomico che non può rappresantare nessun processo reale. Troppo faticoso per loro, vivere nel divenire della realtà…

  • enrico quirino |

    Se ti sembra di vedere una coincidenza, è perchè ti è sfuggita l’altra metà degli eventi.

  • MarioG |

    Non vi sono dubbi che la causalità gioca un ruolo centrale nelle nostre spiegazioni, che siano scientifiche o no. Non vi è nemmeno incertezza nel fatto che l’efficacia delle nostre azioni dipendono dalle nostre conoscenze delle cause. Dal mio punto di vista, mi scopro essere simpatetico verso la posizione del pluralismo causale, secondo la quale le teorie contemporanee della causalità non sono in un rapporto di concorrenza, piuttosto di complementarietà. Ora come ben si sa, la teoria probabilista occupa una posizione centrale nel campo della teoria causale, anzi è alla base delle teorie causali come fattore di differenza. Il mio invito è allora di considerare la teoria della probabilità in relazione alla sua “cugina” più prossima, vale a dire la teoria controfattuale, nell’ottica di quella che oggi si chiama versione probabilista della teoria della controfattualità. Alla base di questo c’è difatti l’idea che la probabilità e la controfattualità giocano un ruolo analogo nell’analisi della causalità. Inoltre, c’è da considerare anche che la relazione di causa ed effetto può essere interpretata differentemente se al centro della nostra spiegazione c’è la relazione tra avvenimenti o, ad esempio, tra proprietà, o ancora più marcatamente tra individui o popolazioni. Detto questo anch’io naturalmente sono più vicino alle posizione di De Finetti ma farei attenzione ai dubbi del “cigno” .

  • Fabio Scacciavillani |

    Al momento non esiste un modello formale o una teoria della probabilita’ che possa essere utile per cogliere tutti gli aspetti qualitativi di cio’ che comunemente chiamiamo rischio. Esso ha connotazioni troppo complesse per poter essere catturato dalle povere formule che riassumono uno stadio di conoscenza del tutto inadeguata per rappresentare la realta’. Per di piu’ mentre in fisica sappiamo che, ad esempio, fenomeni come la gravita’ sono immutabili e quindi esprimibili in simboli, nelle scienze sociali questo non avviene.

  • Alessandro Giuliani |

    Una battuta molto in voga tra gli statistici è ‘la statistica è come un bikini, fa vedere un sacco di cose ma nasconde l’essenziale’. Il che è sicuramente vero se la statistica viene intesa come ‘indici di valore centrale’ o ‘momenti primi della distribuzione’ laddove tutti noi sappiamo che ‘i punti di svolta’ si trovano altrove. Ma, appunto, come con il bikini, l’ essenziale senza il resto non è poi così eccitante (ed essenziale) così il grande valore della statistica è proprio quello di fornire una curva di scaling che mi possa dire cosa ne è ‘fuori’ (se non so cosa appartiene allo scaling difficilmente saprò riconoscere l’eccezionalità di un evento posto che non stiamo sempre parlando dell’11 settembre per cui la statistica è inutile ma che capita di gran lunga più spesso di dover riconoscere un battito cardiaco anomalo o un test diagnostico sballato).
    Quanto alla gaussiana, bè certamente le power laws sono molto più ‘naturali’ e ‘diffuse in natura’ ma la gaussiana rimane insostitiobile per le distribuzioni campionarie quando cioè dobbiamo decidere sulle similitudini fra ‘campioni differenti’ e non ‘individui differenti’ cioè nel molto più artificiale e routinario problema dell’inferenza. De Finetti è stato un grande e misconosciuto scienziato, e la probabilità (a differenza della statistica descrittiva a cui le curve di scaling appartengono) è pietanza soggettiva o non è nulla, è propensione al rischio, informazione pregressa, intuito e naso, come De Finetti ci ricordava…grazie Ignazio per un pezzo bellissimo e necessario !
    Alessandro

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