La ricostruzione razionale dell’attività scientifica ha dato sempre scarsa importanza al ruolo della metafora ed all’analogia, fino all’avvento recente di un’epistemologia più attenta ai fattori "interni" storici e cognitivi della ricerca. Al di là di ogni controllo a posteriori per garantire la trasparenza "operativista" tra struttura matematica delle teorie e dati sperimentali, noi lavoriamo nel mondo con il linguaggio. E per quanto cerchiamo di vincolarlo ad assetti rigorosi e monosemici, questo è per sua natura caratterizzato da una ricchezza e vaghezza polisemica che permette slittamenti, interpretazioni e suggerisce la ricerca di nuove prospettive della conoscenza. Sostenuta dal linguaggio, la metafora gioca il ruolo di un Gedankenexperiment, in cui spostiamo l’asse concettuale da un dominio all’altro, riplasmando quel mondo di percezioni e immagini in cui ha origine il pensiero, come scrisse in una splendida pagina Einstein nella sua Autobiografia Scientifica:
Che cos'è precisamente il "pensiero"? Quando, sotto lo stimolo di impressioni sensoriali, affiorano alla memoria certe immagini, questo non è ancora "pensiero". E quando queste immagini formano un insieme di successioni in cui ciascun termine ne richiama un altro, nemmeno questo è ancora "pensiero". Ma quando una certa immagine ricorre in molte di queste successioni, allora – proprio attraverso questa iterazione – essa diventa un elemento ordinatore, poiché collega tra loro successioni che di per sé non sarebbero collegate. Un elemento simile diventa uno strumento, un concetto. Io ritengo che il passaggio dalla libera associazione, o "sogno", al pensiero sia caratterizzato dalla funzione più o meno dominante che assume in quest'ultimo il "concetto". Non è affatto necessario che il concetto sia connesso con un segno riproducibile e riconoscibile coi sensi (una parola); ma quando ciò accade, il pensiero diventa comunicabile.
Benchè un’impostazione di questo tipo sfuma in modo naturale la distinzione netta tra cognitivo ed estetico che da Kant è stata ereditata passivamente da molta epistemologia, va detto che la metafora che qui ci interessa non è quella dei poeti ma quel tessuto di possibilità e transizioni semantiche tra due ambiti sul quale tracciare risonanze strutturali e costruire reti relazionali. Scrive Max Black: Una metafora efficace ha il potere di mettere due domini separati in relazione cognitiva ed emotiva usando il linguaggio direttamente appropriato all’uno come una lente per vedere l’altro(…) Quasi altrettanto si può dire circa il ruolo dei modelli nella ricerca scientifica(…) entrambi sono tentativi di versare nuovo contenuto in vecchie bottiglie.
Il ruolo della metafora è dunque propriamente quello di essere una “levatrice” di modelli evidenziando “familiarità” tra configurazioni, un traghetto dal noto all'ignoto. Questo processo è tutt’altro che lineare, e non può essere formalizzato; esso agisce piuttosto in modo maieutico in una zona ancora ampiamente pre-formale. In genere l’esito finale non è affatto la riproduzione delle relazioni di un sistema su un altro, ma implica, proprio attraverso il gioco delle familiarità e delle risonanze, la scoperta di un gap, una zona in cui le corrispondenze non funzionano e che agisce da attrattore concettuale per il momento formale, al quale spetta il compito di plasmare le somiglianze ma soprattutto le differenze peculiari che il tessuto analogico permette di scoprire. Puntualizza infatti Mary Hesse: La metafora opera trasferendo le implicazioni e le idee associate al sistema secondario a quello primario. Queste selezionano, mettono in evidenza o sopprimono le caratteristiche del sistema primario; ne mettono in evidenza aspetti nuovi (…) le idee associate al sistema primario subiscono una certa trasformazione dovuta all’uso della metafora (…).
La metafora che agisce come attrattore cognitivo nella costruzione di modelli scientifici è “interattiva”, perché innesca un gioco critico di analogie tra sistemi che aprono nuovi spazi concettuali, interpretazioni e dunque anche possibilità formali. E' questo che permette la migrazione di un modello matematico da un dominio all'altro; un esempio ormai classico è lo sviluppo della teoria delle reti neurali di Hopfield attraverso l'analogia con la teoria di Ising dei domini magnetici.
Va almeno ricordato qui il contributo fondamentale (e misconosciuto) del filosofo Enzo Melandri, che nel suo monumentale saggio sull’analogia – La Linea e Il Circolo - distingue tra analogia estensiva (formalizzabile), ed analogia intensiva, assai vicina ai processi cui fanno riferimento Black ed Hesse, in cui la copertura dell’area analogica non è calcolabile ma definisce piuttosto una rete di risonanze cognitive che richiedono al costruttore di modelli una scelta deliberata di senso ed interpretazione.
Infine, particolarmente interessante è il lavoro pioneristico di Arthur Koestler , che anticipa una visione assai moderna dell’attività scientifica come gioco con la natura nel senso della games theory di Von Neumann e Nash. L’interrogazione della natura ad opera della scienza può essere vista come un gioco infinito, in cui regole e mosse possibili – definite da Koestler “matrice”- sono strutturali, ossia legate al formalismo utilizzato, mentre ogni partita specifica implica sempre una scelta strategica che, in un gioco infinito, per definizione, non può essere ottimizzata. Ne consegue che la ricerca della strategia più adatta può portare a selezionare alcuni gruppi di mosse come universalmente efficaci attraverso un procedimento analogico, ma può anche richiedere una modificazione drastica delle regole e generare un nuovo gioco.